Vietato ai possessori di ghiandole di Cowper

Gennaio è il mese degli obiettivi: mi metterò a dieta, comincerò a suddividere le magliette per colore, berrò acqua e limone tutte le mattine e non vodka lemon tutte le sere.

Uomini e donne di buona volontà pagano un abbonamento in palestra solo per tediare l’istruttore con richieste da Madonna di Lourdes. Nello specifico, me (Je suis istruttrice). 

Che ho le stesse loro turbe, la loro stessa voglia di essere in forma, pronta ad andare al mare senza che allertino Greenpeace e un ruolo che me lo impedisce. Io varco le porte della palestra come Bruce Willis nella scena del discorso del presidente, urlo come il Sergente Hartman e semino il terrore nelle mie classi.

Poi vado a casa, condisco l’insalata con gli Smarties e mi metto a spulciare nei social. La verità è che si stava meglio quando si stava peggio, io andavo con le monetine ai telefoni pubblici per chiamare le amiche e non esistevano le fashion blogger.

Le fashion blogger sono degli esseri mitologici metà donne metà brand, che dettano legge nella società 4.0 ( o almeno, ho perso qualche puntata, ma mi pare che siamo arrivati alla quarta stagione della società).

Loro hanno gli armadi che vomitano vestiti, borse, gioielli e chi più ne ha più ne metta. Si vestono indifferentemente da Carabetta come da Hermes, per loro mille lire o mille dollari, che sarà mai. È come dire, pesa più un kg di ferro o un kg di fieno?

La cosa più mortificante, non è tanto quella spilla di Givenchy trovata in un mercatino in Nepal che rende una parannanza qualsiasi un outfit da tappeto rosso, ma il fatto che ricevano in regalo una quantità straordinaria di prodotti.

Le aziende si presentano come Re Magi alle loro porte con i più disparati doni e le fashion blogger li custodiscono nei loro caveau fino a un momento ben preciso, chiamato “give away”.

Mo’ io, sto giveaway mai coperto, never covered. Io sapevo il “darla via come se non fosse la tua”. Invece c’è stato un upgrade e consiste nel regalare il doppione del doppione del prodotto, facendo accapigliare le altre donne sui social. Oppure, si vende a un prezzo ridotto.

Un po’ lo stesso principio per cui io, istruttrice, mi alleno gratis in una palestra che a voi costa 800 euro all’anno. Fashion blogger, io non ce l’ho con voi, ma quando compro l’acqua profumata della Perlier perché non ho i soldi, questo secolo, per Elie Saab, ebbene – amiche ben vestite – me fate rode er chiccherone.

Ma soprattutto, amiche fotogeniche, siete belle come un quadro, ma con la stessa distanza emotiva. Io, se non mi avvertono giorni prima e non si chiamano Helmut Newton, assomiglio sì a un quadro, ma di Picasso.

Ed è per tutti questi motivi che voglio consigliare quei quattro prodotti in croce che uso e che hanno diminuito la voglia di sputarmi allo specchio.

L’oggetto del desiderio, quello che metto sempre, pure quando vado a dormire, è il mascara. Il mascara è lo strumento del diavolo che rende guardabile pure un cesso a pedali. Il flap flap donato da questo cosmetico non ha pari, perché è con gli occhi che direte “sì ci sto” prima ancora di slacciarvi il reggiseno.

Io, nei miei 35 anni da donna (non che prima fossi un uomo, ma secondo me ci siamo capiti), ho provato tutto. Prodotti da banco, marchi da 50 euro a scovolino; il mio consiglio è: provate. Ma soprattutto, armatevi di piegaciglia. Il piegaciglia è lo strumento del diavolo che farà dire a un uomo “sì ci sto”, prima ancora che vi slacciate il reggiseno.

Negli ultimi mesi ho provato due diverse case cosmetiche: Urban Decay e Make Up For Ever.

Sarò onesta; il secondo prodotto sta facendo il suo sporco lavoro egregiamente. Tiene le ciglia separate, le allunga, fa tutte quelle cose per cui neanche il reggiseno vi dovrete mettere. Però ha una consistenza un po’ dura, non scivola sulle ciglia come burro nella padella, e soprattutto non ha il packaging del primo.

Make Up For Ever mantiene un design molto minimal, a mio avviso pensato per i professionisti del settore a cui, immagino, importa poco della forma.

Ma che so’ make up artist io? Io sono bionda e sciocca come una gazza ladra, lastricate le mie strade di glitter e sarò contenta. Urban Decay è un brand che si presenta più graffiante, più erotico, un po’ Grace Jones un po’ Siouxsie ( tante volte non la conosceste, rimediamo a questo stupido errore qui). Ha un design rock e da donna in carriera al tempo stesso. E poi i nomi…

Il mascara si chiama Perversion, non so se mi spiego. Provate a mettere un prodotto che si chiama “prodotto” e uno che si chiama “Frustami”, va da sé che il secondo vi renderà, su una scala che va da Rosy Bindi a Belen, un pelino più vicino alla bellezza argentina. 

Perché io mi sia fatta convincere a comprare un mascara con una banalissima confezione nera, only God knows. Tra l’altro hanno più o meno lo stesso prezzo, ma ormai è andata.

Qualche tempo dopo, ho dovuto dire addio al mio blush di Dior, se non altro perché stavamo festeggiando le nozze d’argento e mi dicono dalla regia che il fard non va in barrique.

In uno di quei (non troppo) rari momenti di “la vita è troppo breve per farsi trovare dalla morte con un prodotto economico”, sono tornata da Sephora per comprare un nuovo blush. Quando una donna con il bancomat incontra una commessa con il pennello, la donna con il bancomat è in rosso.

Con una certa sicumera le chiedo di mostrarmi dei blush che rientrassero in una fascia non troppo elevata. Molto bene l’uso del termine inglese al posto di quello francese che pure pora nonna conosceva. Molto male ammissione di lavoro normale che non mi permette di buttarmi su cosmetici da 200 euro.

La commessa mi sorride comprensiva e mi mostra un prodotto Urban Decay e uno Sephora, il primo 30 euro, il secondo 10. Mi spennella le guance mentre io simulo la paresi di un sorriso e poi mi dice: “In realtà sono molto simili come colorazione e texture”. Io mi sto quasi lasciando convincere dallo spendere dieci euro, conservandone venti per la benzina, quando l’occhio mi cade sul nome del fard: Fetish.

È in momenti come questi che si riconosce il coraggio di una donna, quando sceglie di farsi il cammino di Santiago, ma almeno può stringere tra le mani una scatoletta che evoca le mille e una notte.

Con questo, care amiche, chiudiamo la parentesi “Bellezza e Nobiltà”, arrivedergliela alle prossime puntate.

P.S. A nessuna fashion blogger è stato fatto del male durante la stesura di questo post. Anzi, alcune sono diventate care amiche. Di penna, perché a uscirci insieme mi vergogno: Flaviana Boni (se volete incontrare la Morticia Addams del red carpet), Laura Manfredi (tante volte aveste paura di cosa succederà dopo il parto. Se divento come Laura, partorisco una squadra di calcio), Claudia Sirchia (non solo fashion).
   
    
     

Lascia un commento